Weber: la fondazione della sociologia scientifica


Weber indaga sui fenomeni socio-economici della modernità capitalista e analizza i punti critici di questo tipo di società.

Weber studia diritto, storia, economia e filosofia a Heidelberg, Berlino e Gottinga e scrive dei saggi di storia economica, da cui emerge la trasformazione da paese di tipo agricolo a paese industriale e lo sviluppo del proletariato.

Weber si interessa particolarmente verso la società e la politica, derivato anche dall’ influenza del padre. Dopo la sua morte viene pubblicato “Economia e società” che rappresenta la realtà dell’Occidente in forte transizione economica e sociale e mettere a fuoco il metodo delle scienze storico-sociali.

Weber non considera del tutto negativo il capitalismo, ed infatti critica Marx perché a suo avviso egli riduce la complessità del fenomeno sociale alla mera struttura materiale. Weber individua vantaggi e rischi del capitalismo, cosi come le possibilità ed i limiti. 


Weber è orientato verso le scienze torciò-sociali, di cui il filosofo si propone di definire lo statuto epistemologico e la metodologia, ed è considerato uno dei fondatori della moderna sociologia scientifica. Per lui la sociologia ha come oggetto i modi dell’ agire individuale,  che nel corso della storia si evolvono e si modificano. Le scienze storico-sociali sono definite dall’atteggiamento dello scienziato, che deve essere neutrale, ossia non giudicare i fenomeni sociali sulla base di idee o valori preconcetti.  Il dovere del ricercatore consiste nel “vedere la verità dei fatti” e non “difendere i propri ideali”. Devono quindi comprendere in modo quanto più possibile oggettivo la realtà che li circonda.

Inoltre Weber dipende il principio dell’avalutatività, ossia un paradosso secondo il quale non esiste una verità assoluta, siccome si sviluppa da un particolare punto di vista che cambia tra individuo ad individuo.

Weber distingue tra “giudizio di valore” e “ relazione ai valori”: Il primo indica la presa di posizione del ricercatore nei confronti dellla realtà che sta analizzando, ossia il suo giudizio di approvazione o biasimo; la seconda invece costituisce il criterio con cui lo scienziato opera la selezione dell’ oggetto d’indagine. Lo scienziato infatti, sulla base della sua prospettiva, isola gli oggetti che ritiene dotati di interesse scientifico e quindi degni di essere conosciuti. La ricerca è quindi sempre unilaterale, perché legata ad una prospettiva culturale che influenza lo svolgimento ed il risultato. Tuttavia il valore oggettivo dei risultati della scienza è garantito dall’avalutatività del ricercatore e da suo atteggiamento rigoroso, che permette risultati non condizionati.


Per Weber anche nell’ambito delle scienze storico-sociali è necessaria una forma di spiegazione casuale: lui la definisce “imputazione casuale” ed indica una modalità che mira a selezionare e mettere in luce una serie limitata di elementi riconosciuti come rilevanti, che verranno poi giudicati come dotati di maggiore o minore potere casuale.

In questo modo Weber intende offrire un modello esplicativo sulla cui base  individuare le circostanze che rendono possibile un determinato corso degli eventi. Questa concezione implica l’ impossibilità di elevare a spiegazione universalmente valida la prospettiva assunta per analizzare gli eventi storici: ogni circostanza o elemento individuati come causa “adeguata” sono sempre e soltanto “uno” degli elementi in gioco e non devono essere assolutizzati.


Weber analizza il fenomeno del capitalismo, che sfida le prospettive marxiste. Egli dà importanza alla Riforma protestante, che, secondo lui, ha svolto un ruolo fondamentale nello sviluppo del mondo capitalista. Lui afferma che lo spirito del capitalismo deriva dalla convinzione protestante che la salvezza è raggiungibile solo attraverso l'azione di Dio e che il successo nella vita economica e professionale è una manifestazione della grazia divina. Mentre la produttività rimane l'obiettivo primario nel sistema capitalista, l'aspetto religioso perde il suo significato e il profitto diventa il fine ultimo.


Weber introduce inoltre il concetto di disincanto, che si riferisce alla perdita di un'aura magica e sacra del mondo a causa di un processo di razionalizzazione e intellettualizzazione. Il mondo moderno ha abbandonato la dimensione primitiva del politeismo e le persone ora credono in un unico Dio trascendente o non credono più in Dio. Weber sostiene che mentre il comportamento razionale è incoraggiato nella società moderna, è diretto solo verso l'utilità immediata e assomiglia a una gabbia che intrappola gli esseri umani come meri strumenti di produttività.


Weber collega questo atteggiamento all'etica del lavoro protestante, in cui ogni lavoro, indipendentemente dalla sua natura, è considerato un dovere religioso. Il sistema capitalistico impone norme economiche agli individui ed elimina coloro che non le rispettano. L'attenzione ai profitti a scapito della felicità e dei valori di un individuo si traduce nell'ascesi intramondana, un sacrificio di sé per la ricerca della ricchezza. Weber mette in guardia dalle conseguenze del progresso della ragione strumentale, che si traduce in una società bisognosa di una nuova mitologia e di un pericoloso potere tecnico.


Weber poi contrappone l'etica del lavoro protestante con l'etica cattolica, in cui l'intento delle proprie azioni ne determina il valore. La religione cattolica prevede anche un processo di redenzione dal peccato attraverso il sacramento della penitenza. L'analisi di Weber mira non a condannare ma a comprendere le contraddizioni e le ambivalenze della società attuale per promuovere il recupero del senso della vita umana, che sembra perdersi nella strumentalizzazione razionale.










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