Kierkegaard

Soren Kierkegaard nasce nel 1813 a Copenaghen in Danimarca. Il padre è tormentato dal rimorso per una colpa commessa che, secondo lui, aveva attirato l'ira di Dio sulla famiglia; convinzione che si consolida dopo la morte prematura della moglie e di cinque dei suoi sette figli. Questa malinconia del padre porta Kierkegaard a nutrire una concezione negativa dei rapporti umani e, più in generale, dell'essere dell'uomo.

Per venire a capo della propria tormentata condizione spirituale, il giovane Kierkegaard si dedica alla filosofia e alla letteratura. Si laurea all'età di ventotto anni, con una tesi in cui critica l'ironia dei romantici apprezzando invece l'ironia socratica, intesa da lui come un mezzo per condurre gli uomini alla consapevolezza della drammatica serietà della vita.

Quello che interessa il giovane filosofo è riflettere sulla propria esistenza, metterne in luce tutta la problematicità, accettarne l'irrazionalità e le contraddizioni. Nel 1841 ascolta le lezioni a Berlino e rimane sconcertato dal fatto che il sistema idealistico si sforzasse di dare una risposta definitiva a ogni questione, senza cogliere la drammaticità del vivere. Hegel poi, a suo avviso, aveva dimenticato di essere un uomo concreto, prendendo in considerazione solo l'"idea" di umanità. Al contrario, sostiene Kierkegaard, quello che conta è il "mio" io, unico, singolo e irripetibile a cui è affidata la responsabilità della scelta.

Il tema della "scelta" appare come il cardine intorno al quale si sviluppa tutta la riflessione del pensatore. In quell'occasione essa si qualifica come decisione di porre Dio al di sopra di ogni altra cosa.

Il suo cristianesimo non è però quello della Chiesa ufficiale: La Chiesa è accusata dal filosofo di essere troppo compromessa con interessi mondani e di trascurare quegli aspetti spirituali e interiori che caratterizzano una religiosità autentica. Gli uomini di Chiesa, inoltre, vengono criticati per aver ridotto il messaggio di Cristo a mera dottrina, cioè per averne fatto una speculazione teologica, tralasciando del cristianesimo la parte più importante: l'imitazione dell'esempio di Cristo e l'impegno a seguire una vita all'insegna dell'abnegazione, dell'ascesi e del sacrificio.

La scelta cristiana di Kierkegaard non ammette compromessi e si presenta come alternativa secca tra Dio e mondo. A differenza di Hegel, che tendeva a conciliare gli opposti in una sintesi superiore, Kierkegaard pone l'uomo di fronte alla drammaticità dell'esistere, che risiede proprio nell'inevitabilità della decisione tra termini assolutamente contraddittori e inconciliabili.

Kierkegaard individua tre stadi o fasi dell’ esistenza:

1. La vita estetica, la quale è vissuta nell’istante e nella continua ricerca del piacere. Essa implica a dispersione del soggetto e conduce alla noia e alla disperazione

2. la vita etica, che è caratterizzata dalla scelta e dalla responsabilità e comporta la sottomissione alle regole della famiglia e della società. Essa conduce alla percezione della propria ineguatezza morale e al pentimento.

3. la vita religiosa, che implica il “salto” della fede che è “paradosso è scandaloso” per la ragione umana. Essa comporta un rapporto esclusivo tra l’ individuo e Dio.


L’ uomo è ex-sisternza, ossia può trascendere la propria condizione e proiettarci nel futuro. Essa è progettualità e possibilità pertanto:  prova angoscia, intesa come puro sentimento della possibilità, e prova disperazione (“malattia mortale”) intesa come lacerazione tra finito e infinito. L’ unico rimedio a questa malattia è la fede.



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